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Superare un Noriega per tornare a crescere

Lo stato guidato da Maduro, la crisi economica e gli equilibri mutati in Sud America. Perché “in un altro contesto ideologico la sospensione del paese dal Mercosur non ci sarebbe stata”

di Maurizio Stefanini
Il Foglio, 30 Maggio 2017

“È morto Manuel Antonio Noriega!”. La notizia arriva quando Ana María de León, da due mesi nuova ambasciatrice di Panama in Italia, sta per cominciare uno degli incontri che ogni mese organizza Mediatrends America-Europa, l’osservatorio indipendente per giornalisti latino-americani e latino-americanisti a Roma. Si dovevano analizzare i progetti di integrazione economica che da un po’ affollano le agende dei leader della regione, dal Mercosur all’Alleanza del Pacifico, dal Caricom all’Unasur, dalla Sica al Celac, ma la discussione si è spostata sull’ex dittatore panamense.

“Noriega?”. L’imbarazzo è evidente, anche dopo il tweet dell’attuale presidente di Panama Juan Carlos Varela: “Morte di Manuel A. Noriega chiude un capitolo della nostra storia; i suoi figli e i suoi familiari hanno diritto a un seppellimento in pace”. Di suo de León non aggiunge altro, preferisce concentrarsi sulla crescita del Paese e sui molti fronti di integrazione economica con gli stati sud americani. Un miglioramento economico che nasce proprio dalla cacciata di Noriega, come disse al Foglio il suo predecessore Fernando Berguido Guizado: “È stato grazie all’intervento americano del 1989 se Panama è oggi il Paese che cresce più in America Latina. È  stato un intervento cruento, ma ha permesso di porre fine a vent’anni di dittatura militare”.

Un passato che Panama è riuscito a superare, ma che si ripropone ancora in altre zone del continente. Ad esempio in Venezuela. E’ l’ambasciatore dell’Uruguay, Gastón Alfonso Lasarte Burghi, a ricordare come lo stato guidato da Maduro sia ancora sopeso dal Mercosur. E’ Juan Fernado Holguín Flores, ambasciatore dell’Ecuador, a ricordare cosa sta succedendo nel paese e a precisare: “In realtà non è stato sospeso per i problemi politici, ma per il non compimento di un gran numero di obblighi nell’area commerciale”, ma “bisogna essere onesti: in un altro contesto ideologico questa sospensione non ci sarebbe stata”, soprattutto dopo il cambio di governo in Argentina e Brasile, elezioni che hanno “cambiato i rapporti di forza” in Sud America.

“Non solo il governo dell’Ecuador, ma tutti i governi dell’Unasur stanno cercando di evitare che la situazione in Venezuela degeneri”, precisa Holguín Flores. “Come farlo? Questo è il problema. Bisogna creare occasioni di dialogo, e gli strumenti dell’Integrazione stanno lì”. Lo sforzo diplomatico è notevole, anche per il rappresentante di un governo che ufficialmente è ancora uno stretto alleato ideologico di Maduro.

Dal dibattito esce l’immagine di Lenin Moreno che sta cercando di essere mediatore ed era stato proprio lui stesso a dire, il giorno dell’insediamento di voler avere uno stile più disteso rispetto a Correa. “Anche Correa dialogava”, anche se notoriamente avevesse un carattere piuttosto iracondo (“l’ex-presidente Correa diceva sempre: io sono un essere umano”, scherza l’ambasciatore): “Diceva: ‘Sono emotivo. Vengo da una città come Guayaquil, non cambierò la mia natura’. Io però, che lo conosco personalmente, posso testimoniare che è una persona che sa dialogare. Moreno può sembrare più tranquillo, ma non è meno fermo. Può cambiare il linguaggio, ma non la linea”. Nonostante i i risultati economici e sociali ora non siano dei migliori: “A parte il crollo dei prezzi del petrolio, come economia dollarizzata il nostro export soffre per la sopravvalutazione del dollaro”. Che però Correa ha mantenuto, malgrado le possibile pregiudiziali ideologiche in contro. “Una volta dollarizzati, non è proprio il caso di uscirne”. Un po’ come non è il caso di uscire dall’euro? “Esattamente. Costerebbe troppo”.  Promemoria per Grillo: che sul suo blog ha spesso indicato la politica economica d Rafael Correa come ideale punto di riferimento per i Cinque Stelle.