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Il Medio Oriente instabile. Visto da Pechino e Teheran

Venerdì 16 giugno a Roma si è svolto un incontro del laboratorio dedicato ai temi del Medio Oriente e Mediterraneo. Pubblichiamo qui il resoconto di Francesco Bechis per Formiche.

Quando si discute del caos dello scenario mediorientale, tanto più adesso che alla guerra in Siria si stanno aggiungendo nuove tensioni fra i paesi del golfo persico e il Qatar, capita spesso di dimenticarsi di una potenza che in quell’area ha qualcosa di più di qualche affare economico: la Cina. Venerdì mattina in una colazione di lavoro promossa a Roma dal Centro Studi per il Medio Oriente (CEMO) della Fundación Promoción Social de la Cultura, si è cercato di fare il punto degli interessi cinesi nell’area con l’ex Ambasciatore di Italia a Pechino e a Teheran  Alberto Bradanini e il professore della China University of Political Sciences Alessandro Dri.

La crisi diplomatica tra Qatar e gli altri paesi del golfo rischia di dividere il Medio-Oriente in due fronti, con il Qatar e la Turchia da una parte e Arabia Saudita, Bahrein, Egitto e Emirati Arabi dall’altra. Se non è chiara la posizione che assumeranno gli Stati Uniti, che prima criticano il Qatar e poi siglano col suo ministro della Difesa un accordo per la vendita di 36 Jet F5, è ancora meno chiara la posizione che la Cina vorrà tenere sulla crisi diplomatica del golfo.

“Esattamente come gli Stati Uniti, la Cina agisce da regolatore esterno nelle crisi regionali” spiega l’Ambasciatore Bradanini, per anni in rappresentanza diplomatica a Pechino, e dunque fine conoscitore della politica estera cinese. A suo parere i cinesi non interverranno direttamente per risolvere la rottura dei rapporti fra i paesi del golfo, “la Cina ha le idee chiare, non vuole esporsi più di tanto, reputa che questo disastro sia stato generato dalle politiche sbagliate statunitensi”. Un altro attore di primo piano nella regione resta l’Iran, nemico giurato dei sauditi. Durante il Summit di Astana dell’8 e 9 giugno con la Russia e gli altri paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shangai (SCO), i cinesi hanno supportato l’ipotesi di un’entrata a pieno titolo nell’organizzazione degli iraniani, già da qualche anno osservatori esterni. Dunque i cinesi hanno buoni rapporti diplomatici con l’Iran di Hassan Rouhani, che a sua volta non ha nessuna intenzione di interrompere le relazioni del Qatar, perché, aggiunge l’Ambasciatore, con i qatarioti gli iraniani condividono il South Pars, il più grande giacimento di gas al mondo.

La Cina di Xi Jinping non ha alcun interesse a scatenare una polveriera fra i paesi del Golfo per una serie di motivi precisi. Per quanto a Gibuti, dunque sul lato africano della regione, vi sia un’imponente base militare cinese, non sono gli interessi militari che preoccuperebbero la Cina in caso di un conflitto nell’area, ma quelli commerciali. Non solo infatti i cinesi trovano nell’Arabia Saudita il primo partner commerciale in Medio Oriente, di cui costituiscono i principali acquirenti di petrolio (51 milioni di tonnellate nel 2016), ma hanno anche premura di mantenere buoni rapporti diplomatici con l’Iran, che costituirà un partner fondamentale per il mastodontico programma della “One belt one road”, il progetto di un’immensa rete di comunicazioni terrestri e marittime nell’Eurasia per far rivivere gli antichi fasti della Via della Seta.

“L’iniziativa è nata alla fine del 2013, quando i cinesi proposero l’idea di una cintura economica” precisa il professor Dri, “il progetto mira a risolvere un problema irrisolto dello sviluppo economico cinese: i paesi costieri cinesi producono la gran parte del PIL, le province interne come quelle che si affacciano sulla Russia e sulla Mongolia sono invece le meno sviluppate. L’idea di una cintura di infrastrutture fisiche e digitali che colleghi la Cina all’UE porterebbe sviluppo in queste province più arretrate e nuovi mercati nell’entroterra di materie prime come acciaio e carbone”.

Per portare a termine la costruzione plurimiliardaria di infrastrutture la Cina dovrà camminare su un filo sottile per mantenere la sua proverbiale neutralità nelle sue relazioni diplomatiche in Medio Oriente. Dell’Iran avrà bisogno, e ci sono già accordi fra i due paesi per la costruzione di una rete ferroviaria ad alta tecnologia che congiunga il Golfo all’Europa. Ma la Obor non potrà divenire realtà senza il sostegno dei sauditi e degli altri paesi limitrofi. Non a caso i diplomatici cinesi all’ONU avevano votato a favore, strizzando un occhiolino ai sauditi, sulla famigerata risoluzione 2334 sull’illegalità degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, quando l’amministrazione di Obama, ormai al tramonto, aveva deciso invece di astenersi, scatenando l’ira dei repubblicani e del candidato Donald Trump.